R E C L A M O R E C L A M E 05

 

Artsana, proprietaria
del marchio Chicco,
si rifiuta di pagare
un giusto risarcimento
alle famiglie delle 87
ragazze morte in un incendio
nella fabbrica cinese Zhili,
che produceva per Artsana,
in un ambiente senza
nessun requisito
di sicurezza.
Dal punto di vista legale
Artsana non è tenuta
a risarcire. Questo le basta.
A voi basta per essere
tranquilli quando
comprate un prodotto
Chicco per il vostro bambino?

Art: Andrea Rosellini - Copy: Carlo Raffaelli

•• Due articoli sulla vicenda

Dal settimanale Avvenimenti, del 30 gennaio 2000. Articolo di Claudia Savarese.

"Pubblicizzati, venduti e apprezzati dai bambini italiani i giocattoli della Chicco rimangono "sotto accusa", dopo l'incendio di sei anni fa in uno stabilimento consociato, lo Zhili, della Cina meridionale, in Shenzhen, in cui morirono 87 operai e rimasero ferite 47 persone. Dal 1997 la Chicco si è impegnata, solo verbalmente, di pagare un risarcimento di 300 milioni di lire ai feriti e ai famigliari delle vitime. Ma finora l'indennizzo non si è ancora visto. A denunciare la situazione è la Toy Coalition, un coordinamento di associazioni e organizzazioni non governative di Hong Kong. (...) L'incendio allo Zhili nasconde un ben noto problema, quello dello sfruttamento della forza lavoro. «Le vittime - denuncia la Toy - lavoravano dalle 10 alle 15 ore al giorno, per essere pagate 25 dollari americani al mese. La fabbrica era nota come "Tre in uno" dove magazzino, officina e dormitorio erano tutti nello stesso edificio. Quando a causa di un corto circuito divampò l'incendio le uscite di sicurezza erano bloccate e le finestre sprangate».

Dal quotidiano il manifesto, del 23 luglio 2000. Articolo di R.T.
"Il governo italiano si è tirato indietro. Il sottosegretario Cabras, che rispondeva a una interrogazione dell'onorevole Valpiana, ha fatto sapere che "non può farsi carico di danni seppure gravissimi verificatisi nel corso di subappalti da parte di una impresa italiana nel terzo mondo".
L'incidente, al quale si riferiscono l'interrogazione e la risposta del Commercio estero, avvenne il 19 novembre del 1993 in Cina nella fabbrica Zhili toy che produceva giocattoli per la Chicco (gruppo Artsana). Nell'incendio morirono 87 lavoratrici e 47 rimasero ustionate (14 con danni irreversibili che le rendono non autosufficienti). 50 corpi furono ritrovati ammassati vicino a una delle uscite che la direzione dell'azienda aveva bloccato (mettendo anche inferriate alle finestre) per evitare furti.
L'azienda, dopo essere stata riconosciuta colpevole dal tribunale di Kuiyon, dichiarò fallimento e nessuna delle vittime fu risarcita. Nel '97 (la storia l'abbiamo già raccontata sul manifesto), grazie alla pressione internazionale, la Chicco si disse disponibile a stanziare 300 milioni per contribuire a indennizzare i lavoratori. Un contributo assolutamente risibile che, oltretutto, non è mai arrivato alle vittime.
Nell'interrogazione (la Valpiana già nel '97 aveva sollevato il caso in parlamento) si sottolinea anche che la ditta appaltante, cioè la Chicco-Artsana, dovrebbe avere la decenza di risarcire totalmente le vittime, visto che "non ha sufficientemente sorvegliato le condizioni di lavoro nella ditta cui aveva subappaltato il lavoro". In subordine, sarebbe dovere dello stato italiano intervenire finanziariamente, salvo poi rifarsi sulla Artsana. La quale, ammette il sottosegretario, ha addirittura una società (Caben) che si occupa di approvvigionamenti (15% del fatturato) nel Sud-Est asiatico".