Un bel libro (per ciò che contiene) è il miglior catalogo per capire, e anche vedere, un artista. Il libro si intitola Edward Hopper Scritti interviste testimonianze. Lo ha curato Elena Pontiggia per la casa editrice milanese Abscondita.
Molti quadri di Hopper si "riconoscono" perché il mercato li ha esposti sotto forma di copertine di libri, poster e cartoline.
Il libro della Abscondita è un'ottima occasione per imparare a conoscere (prima del ri-conoscere) Hopper, la sua persona, la sua casa (a nordovest dell'arco di Washington Square, New York City), sua moglie, e, certo, i suoi quadri, che non sono mai qualcos'altro da ciò che è Hopper. Ecco perché "quelle case, quei fari, quei bar, quegli uffici, quei motel" sono le case, i fari, i bar, gli uffici, i motel alla Hopper.
Ci sono ormai familiari quelle immagini di una "certa" America, silenziosa, deserta, malinconica, bloccata nel tempo. Metafisica. o realismo ascetico. Hopper è molto complesso. Le definizioni sfuggono alla personalità di questo artista che, come scrive Brian O'Doherty, a pagina 73 del libro, "fisicamente sembra fatto per il mito (…) ha una testa magnifica, ampiamente e superbamente calva, quasi geologicamente sopravvissuta". Geologicamente sopravvissuta. Una definizione d'incanto.
Brian O'Doherty è stato critico d'arte del New York Times e direttore di Newsweek. Incontrò Hopper in occasione di una sua mostra antologica al Whitney Museum, nel 1964, e scrisse un articolo pubblicato in Art in America. Una scrittura magnifica, nel tono e nella capacità di spiegarci la pittura di Hopper attraverso Hopper stesso.
Leggiamolo, a pagina 69.
"Hopper è un uomo parsimonioso, che adatta esattamente la parola all'idea. In lui non c'è niente di superfluo, di artificiale, di retorico. La sua arte e la sua vita hanno anzi eliminato, silenziosamente, queste tre cose. (…) Il suo appartamento è nudo e pulito come un osso di prima scelta."
Proseguiamo, a pagina 72.
"Hopper spesso comunica evitando ogni commento, come i suoi quadri. E' un maestro del silenzio e dello spazio vuoto. (…) E' un poeta dei più elusivi, che afferma una verità con la massima convinzione e poi la contempla con il massimo dubbio."
Proviamo a trasformare il portrait di Brian O'Doherty nelle immagini di Hopper.
Vi (ri)troviamo le condizioni del silenzio, del vuoto, della contemplazione attonita. La realtà metropolitana (siamo a New York, ma i grattacieli non si vedono mai) è tanto fragorosa da assordarci, da renderci sordi. Sordi, poi, al rumore della città. Il rumore c'è, mentalmente possiamo vedere il traffico di una Avenue, anche se l'angolo di quella strada è vuoto, paurosamente silenzioso. Gli ossimori possono essere abbondanti, con Hopper.
A pagina 73, leggiamo che Hopper "non spreca niente: né un gesto, né una pennellata, né una parola, né un pensiero". Sintesi perfetta di un portrait completo. Il gesto è il corpo, la pennellata è la pittura, la parola è la comunicazione socializzante, il pensiero è l'esistenza individuale.
Il pezzo che segue indebolisce una convinzione generalizzata:
"Hopper ritiene che l'accento posto dai critici sulla solitudine delle sue figure sia una distorsione sentimentale della realtà che dipinge. "Si parla troppo di solitudine. In questo modo si riduce a una formula qualcosa che non vuole essere formulato. Ha detto bene Renoir: "La cosa più importante di un quadro è quella che non si può definire", o per meglio dire, che non si può spiegare".
Dunque, la pittura di Hopper è solo un immenso autoritratto?
"Forse i critici hanno ragione", ammise Hopper, col tempo. Elena Pontiggia, che per il libro ha scritto una brillante postfazione, aggiunge qualcosa, da condividere.
Pagina 106:
"Eppure non è la solitudine il significato fondamentale delle opere di Hopper. E non perché non ci sia. Al contrario, perché, pur esistendo, è un argomento a latere. (…) Quello che gli interessa è l'ontologia più che la psicologia. (…) La pittura di Hopper è piuttosto il tentativo di rappresentare i fondamenti della natura e dell'uomo. Lo sguardo che getta su figure e cose è più simile a quello di Emerson che non a quello di Freud e Jung, che pure conosceva".
Poi, Elena Pontiggia ci fa notare che Hopper è anche distante dal filosofo Ralph W. Emerson, in quanto i personaggi del pittore soffrono non per mancanza di compagnia ma per la mancanza di un senso da dare alla realtà. Molto precisa è l'affermazione di Pontiggia quando sottolinea che "gli alberghi e i binari ferroviari, così ricorrenti nelle sue opere, sono simboli di una condizione di straniamento e di esilio.
Ma New York, al tempo di Hopper, che città è?
Gli anni Venti e Trenta vengono definiti "ruggenti". Proibizionismo e gangsterismo fanno cronaca quotidiana; il crollo di Wall Street fa storia, l'esecuzione di Sacco e Vanzetti, innocenti, fa ingiustizia e barbarie, la musica di Armstrong fa ballare, l'Empire State Building fa il suo primato in altezza.
Per Hopper la sua città era il lato di una casa sul quale dipingere la luce del sole.
"Può darsi che io non sia tanto umano", disse una volta.
Suzanne Burrey, in Arts Digest, del '55, (nel libro è a pagina 53) scrive che "Hopper è stato praticamente ignorato come pittore fino a 42 anni, è stato esaltato come "moderno" negli anni Cinquanta, apprezzati da critici "puri" per l'essenzialità delle composizioni, e dai critici "sociali" perché metteva a nudo lo squallore della scena americana".
Charles Burchfield, pittore contemporaneo di Hopper, e da questi molto apprezzato, definisce (pagina 42) il lavoro di Hopper "senza tempo, indipendente dalle varie tendenze alla moda, ma profondamente radicato nella vita contemporanea". Deve essere per questo che la New York degli anni Trenta o Cinquanta non invecchia ai nostri occhi contemporanei, anche se può non esserci più. Forse è la magia dell'arte a renderlo possibile.
Si è scritto molto sul "silenzio dipinto" di Hopper, nei personaggi così come nelle architetture. Burchfield ci ricorda che questo silenzio hopperiano è una "dimensione di ascolto". Burchfield ci elenca, da grande maestro, le sfumature di questo silenzio, che può essere; "impressionante e solenne, come in Ore sette di mattina; o gravido di attesa, come nell'essenziale Entrando in città e in Alba in Pennsylvania; può essere quasi insopportabile, come in Camera a New York; o può racchiudere un senso di mistero, come nella bella Sera a Cape Cod; (…) Il silenzio si percepisce con forza anche in Negozio di barbiere, dove ci si aspetterebbe ogni sorta di chiacchiere e di attività".
La vita contemporanea viene rappresentata da Hopper nella sua miseria più "intima"; non c'è sporcizia, le case sono pulite (ben disegnate), le camere d'albergo rassettate; perfino il distributore di benzina (il famoso Gas) non ha macchie d'olio sull'asfalto. Questa mancanza di azioni (una assenza di impronte) evidenzia la nostra povertà, che è intollerabile perché banale, e sarebbe davvero - come scrive Burchfield - una banalità penosa se Hopper non l'arricchisse con la sua pittura.
Hopper è nato il 22 luglio del 1882 a Nyack, una cittadina sul fiume Hudson, vicino a New York. Il paesaggio fluviale e le barche gli fanno dire che da grande farà l'architetto navale. Invece, farà l'illustratore per case editrici e per agenzie di pubblicità; mestiere che non amava proprio. Studia alla New York School of Arts. Nel 1906 va a Parigi. "Ai miei tempi dovevi andare a Parigi. Oggi puoi andare anche a Hoboken, va bene lo stesso". Uno si immagina "la scena parigina", lo studio di Picasso e il salotto di Gertrude Stein.
"Chi ho incontrato?"
La risposta di Hopper "è" la sua pittura: "Nessuno".

"Il suo mondo di cose oneste
racchiude una intensa violenza."


Autoritratto
Whitney Museum
New York 1925

 

 

Domenica mattina presto
Whitney Museum
New York 1930

"Non era necessariamente domenica. La parola è stata aggiunta dopo da qualcun altro".

 

 

 

Benzina
Moma
New York 1940

"Benzina, in un artista meno attento, sarebbe diventato Stazione di benzina o Lavoratore alle pompe di benzina. La secca parola «benzina», invece, sembra esprimere tutto l'impatto di questo prodotto sulla vita americana".

   

Entrando in città
The Phillips Collection
Washington 1946

"Mi ha sempre interessato arrivare in una grande città in treno. (...) Si prova una certa paura e ansia, e un grande interesse visivo per le cose che si vedono entrando in una grande città".

   
Nottambuli 1942
"Questa opera mi è stata suggerita da un ristorante del Greenwich Village, posto al'incrocio tra due vie. Nottabuli è forse il mio modo di pensare una strada di notte. Non mi sembrava particolarmente solitaria. Ho semplificato molto la scena e ho ingrandito il ristorante. Probabilmente inconsciamente ho dipinto la solitudine di una grande città".
Una scena
del film Crimini invisibili
di Win Wenders

 

La luce di Parigi influenza i suoi quadri. E' un po' impressionista e un po' fauve. Forse ne l'uno né l'altro, anche se - confessa - gli ci vollero dieci anni per liberarsi dell'Europa. Nel 1913 a New York si inaugura l'Armony Show, una mostra che farà conoscere l'arte europea agli americani. Hopper espone due quadri. Ne vende uno. La prossima vendita avverrà dieci anni dopo. Il tempo di Hopper è bloccato, sulle sue tele, ma anche quello dei collezionisti va lentissimo. Hopper lascia la pittura (si fa per dire) e si dedica agli acquerelli e alle incisioni e comincia a vendere. Dal 1924 inizia il "fenomeno" Hopper. Dipinge due tre quadri l'anno, ma, come giustamente ha detto Burchfield, "quello che sceglie di fare ci basta".
Nel 1952 Hopper espone alla Biennale di Venezia ben ventotto opere. Nel catalogo, scrivono che è il maggiore esponente contemporaneo della tradizione realistica americana. Ventotto opere sono un museo. Forsequella volta, a Venezia, c'era l'acqua alta. Per vedere Hopper bisogna andare a New York.
Edward Hopper muore il 15 maggio 1967. Sua moglie Jo accorcia il silenzio; lo segue meno di un anno dopo.
Così scrive Brian O'Doherty (a pagina 80): "Josephine Verstille Nivison Hopper è una delle donne più straordinarie che un artista abbia mai sposato. E' bella, vivace, piccola, rapida nel pensiero e nell'azione, attentissima a tutto ciò che accade intorno a lei. E' mostruosamente colta. Spesso ha idee estremiste". Anche Jo era pittrice. Nei quadri di Hopper, tutte le donne sono Jo.

La casa sulla ferrovia 1925

Primo quadro di Hopper ad entrare nella collezione del Moma di New York.
Alfred Hitchcock
prese a modello la casa per Psycho.