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Ancora sui manifesti dell'Università di Macerata "La buona educazione"


Quando ho visto per la prima volta le foto, per strada a Roma, ho apprezzato subito quella che mi sembra una splendida e freschissima invenzione tutta interna allo specifico della comunicazione pubblicitaria: nella trasparente e leggerissima forma retorica si sovrappone l'espressione esteriore della "cattiva" educazione alla proposta di "buona" educazione, mostrando come una cultura umanistica solida non possa aver paura delle espressioni dell'innocente goliardismo giovanile dato che la cultura c'è proprio laddove si guarda alla complessità della comunicazione senza sgomento e serenamente.

Il controllo grafico della campagna è esemplare: il grigio rigoroso e limpido suggerisce serenità e ironia, i gesti "volgari" sono frenati e solo accennati dai tre giovani che con il loro simpatico sguardo pudico e timido sembrano prestarsi solo per un attimo e con imbarazzo ad un gioco effimero e disarmante; come se stessero citando Rabelais o Boccaccio nel corso di un esame.

Questa leggerissima forma retorica (antitesi?) è diffusissima e scontata nel mondo della fotografia pubblicitaria (vedi l'antologia Linguaggio e fotografia in Progresso Fotografico, 1977), ma provoca un'ipocrita reazione se la si utilizza a favore degli studi universitari per i quali si vorrebbero delle soluzione tetre e burocratiche come quelle deprimenti di "Pubblicità progresso".


In una mia recente conferenza dedicata a questi argomenti (mi occupo del rapporto interdisciplinare tra le arti), ho illustrato l'attività dell'agenzia pubblicitaria STZ che negli anni passati fece discutere proprio per la sua insolita e intelligente strategia dell'immagine disorientante, un caso rarissimo di elastico utilizzo del linguaggio pubblicitario per fini etici.

Giorgio Guarnieri, responsabile di Quaderno di Critica d'arte

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