La pubblicità dell'Università di Macerata - anno 2

 

Acque calme, quest'anno, nella pubblicità dell'Università di Macerata. La precedente campagna aveva fatto maretta e agitato alcuni animi: remò contro per primo il professor Lodoli sulle pagine di Repubblica che bocciò la campagna giudicandola volgare, la Codacons promise denunce (sull'onda di emotivi consumatori scandalizzati) rimaste nel cassetto, e ci furono molti commenti pro e contro su diversi siti importanti - da “Il mestiere di scrivere” a “socialdesignzine” a “Comunitàzione”. La pubblicità del 2004 mostrava studenti sorridenti che facevano boccacce, corna e gestacci col braccio. La headline era: “La buona educazione.”. Il lungo pay-off rassicurava: “All'Università di Macerata solo gesti d'entusiasmo.”. Fu una buona pubblicità, nel senso degli echi. Se fu una buona pubblicità, nel senso dell'advertising, non posso scriverlo: sono stato il copywriter di quelle ragazzate. Anche quest'anno ho scritto le headline. La nuova campagna (curata, come le precedenti, dall'agenzia Iceberg di Macerata) mostra una bottiglietta d'acqua; sull'etichetta è stampato un Effervescente naturale. (con il punto, perché è la pubblicità, bellezza). Niente di nuovo. Metapubblicità. Prendi un prodotto che nulla ha a che fare con il tuo prodotto e mescoli i linguaggi. Si fa nelle migliori famiglie. E siccome è acqua, zampilla facile facile la parodia. Le tre headline ricordano, volutamente, acque famose.

“Ricca di fosforo, povera di tedio.”
“Educati dentro, belli fuori.”
“Liscia o gassata? Università di Macerata.”

Il pay-off, in stile lungo, dice: “fonte di cultura, sorgente di professionalità.”

C'è anche un'etichetta, utilizzata sui dépliant, parodistica alla leggera: Temperatura alla sorgente: fino a 110 e lode - Durezza: assente - Piano di studi: personalizzabile - Fosforo: in quantità illimitata - Calcio: football e non solo - Gusto: con film, musica e teatro c'è più gusto - Colore: trasparente - Vintage: chiare, fresche, dolci acque - Fonti: biblioteche e aule informatiche
Insomma, a norma del soft, è una comunicazione appena frizzantina, tanto per non andare troppo sul liscio.
La Repubblica.it, del 6 settembre 2005, titola: “Pubblicità degli atenei sempre in crescita, è l'effetto della riforma. Due strategie: puntare sull'informazione oppure sugli slogan”. Decorano il testo le pubblicità dell'Università di Macerata e dell'Università di Pisa. Nell'articolo, vengo a sapere che ci sono due scuole di pensiero: gli atenei che si limitano a informare sul numero di corsi di laurea attivi e quelli che di questo dato fanno volentieri a meno. E l'articolo cita l'headline maceratensis: «… fanno volentieri a meno, purché ci si ricordi che la facoltà in questione è “ricca di fosforo e povera di tedio». Beh, fa piacere che la bottiglietta sia stata notata nel supermercato dell'informazione ateneica (si potrà dire?). L'articolista forse ha guardato solo i banner dell'Università di Macerata, perché sui manifesti e su altra pubblicità stampata sono indicate tutte le facoltà (sedici). Per le informazioni si va in internet.
In qualche modo la pubblicità targata UniMC s'è fatta notare. Certo, conta la presenza sui principali quotidiani ad alte tirature, sono utili gli annunci su radio a diffusione nazionale, è da prendere al volo l'uscita a pagina piena su un nuovo mensile formato XL.
Anche le corna e le boccacce devi farle vedere, ma lo scorso anno c'è stata discussione, si è sviluppato spontaneamente un
po' didibattito in forma di e-mail e blog. La migliore riuscita di una pubblicità, oltre a far vendere un prodotto. è far discutere sulla pubblicità, sui linguaggi, sulla comunicazione. E spendendo poco.
Lorenzo Marini, art director che scrive, dipinge, crea, impagina, nel suo garbato, acuto e coinvolgente Note (Lupetti editore, 2005) premonizza: «Le marche sceglieranno se rimanere prodotti o diventare valori, se comunicare plus o regalare emozioni. La nuova pubblicità sarà più sociale, attenta al mondo circostante e ai suoi bisogni. La provocazione è morta di morte naturale per fare posto a una nuova armonia. Che sarà poetica o ironica, sensibile o cinica ma in ogni caso sempre più creativa». Prendo atto.

L'acqua, non in bottiglietta, è ormai il nuovo problema del mondo. In alcune parti del globo ce n'è troppa (in senso catastrofico), in altre manca del tutto (sempre in senso catastrofico). Il pianeta si surriscalda; i ghiacciai colano come coni gelato, la terra si sgretola in zolle non arate. Bisogna studiare un nuovo modo di vivere. Bisogna studiare, gente, bisogna studiare. Perché c'è molto da imparare. All'università e fuori.

Massimo De Nardo


Un altro sorso? Su il manifesto - 20 settembre 2005, pagina 11 - c'è un'inchiesta di Manuela Cartosio intitolata (nel riquadro della prima pagina) “Università al mercato”. Il sommario va al sodo: “Gli atenei pubblici si fanno concorrenza con spot pubblicitari pagati con fondi sottratti a borse di studio e ad alloggi per studenti”. L'articolo inizia così: “Liscia o gassata? Università di Macerata. Ricca di fosforo, povera di tedio. Dieci anni fa neppure i più fantasiosi avrebbero immaginato che per conquistare “clienti” un'università si sarebbe giulivamente paragonata ad una bottiglia d'acqua minerale”. L'articolo è illustrato anche con due manifesti dell'Università di Macerata. La didascalia dice: “Esempi di promozione di alcune università. Il più “frizzante” riguarda l'Università di Macerata”. Se è vero (chi ce lo può dire, seriamente?) che le pubblicità universitarie (di alcune università?) vengono pagate con fondi sottratti a borse di studio e ad alloggi per studenti, c'è da urlare contro. Manuela Cartosio riporta, nel suo articolo, un pensiero estratto da Contro la comunicazione, di Mario Perniola (Einaudi editore): “la comunicazione è l'opposto della conoscenza ed è nemica delle idee”. Detto così non mi sembra un pensiero serio. Bisognerebbe leggere almeno una pagina o un capitolo e magari tutto il libro. Accontentiamoci di questa battuta e chiosiamo alla buona. E' il pensiero dell'autore? Speriamo di no, perché sarebbe una contraddizione troppo ingenua. Come ingenua risulta, purtroppo, la mia considerazione: senza comunicazione chi leggerebbe il libro einaudiano (editrice di proprietà dell'uomo di Arcore, che con la pubblicità si è costruito un impero e scranni parlamentari e un partito e una squadra di calcio e leggi personali e non si finirebbe più di elencare quello che si trova tra uno spot e l'altro)? Se pago la mia iscrizione ad una università 600 euro (poco o tanto che sia) divento, prima ancora di essere matricola, un cliente. Il denaro, strumento per avere “cose” (e anche idee, se queste sono stampate o registrare o filmate) ci rende tutti clienti di qualcuno. Un libro costa minimo 20 euro. Un cd costa lo stesso. Una enormità. Ha ragione Beppe Grillo quando dice che quelli che ci governano i libri non li bruciano, ma ti fanno passare la voglia di leggerli. Forse non solo per il costo elevato, ma anche quello conta. Le università, dunque, si fanno pubblicità. E fanno bene. E speriamo con un budget trasparente.