La
pubblicità dell'Università di Macerata - anno 2
Acque calme,
quest'anno, nella pubblicità dell'Università di Macerata.
La precedente campagna aveva fatto maretta e agitato alcuni animi: remò
contro per primo il professor Lodoli sulle pagine di Repubblica che bocciò
la campagna giudicandola volgare, la Codacons promise denunce (sull'onda
di emotivi consumatori scandalizzati) rimaste nel cassetto, e ci furono
molti commenti pro e contro su diversi siti importanti - da Il mestiere
di scrivere a socialdesignzine a Comunitàzione.
La pubblicità del 2004 mostrava studenti sorridenti che facevano
boccacce, corna e gestacci col braccio. La headline era: La buona
educazione.. Il lungo pay-off rassicurava: All'Università
di Macerata solo gesti d'entusiasmo.. Fu una buona pubblicità,
nel senso degli echi. Se fu una buona pubblicità, nel senso dell'advertising,
non posso scriverlo: sono stato il copywriter di quelle ragazzate. Anche
quest'anno ho scritto le headline. La nuova campagna (curata, come le
precedenti, dall'agenzia Iceberg di Macerata) mostra una bottiglietta
d'acqua; sull'etichetta è stampato un Effervescente naturale. (con
il punto, perché è la pubblicità, bellezza). Niente
di nuovo. Metapubblicità. Prendi un prodotto che nulla ha a che
fare con il tuo prodotto e mescoli i linguaggi. Si fa nelle migliori famiglie.
E siccome è acqua, zampilla facile facile la parodia. Le tre headline
ricordano, volutamente, acque famose. Massimo De Nardo |
Un altro sorso? Su il manifesto - 20 settembre 2005, pagina 11 - c'è un'inchiesta di Manuela Cartosio intitolata (nel riquadro della prima pagina) “Università al mercato”. Il sommario va al sodo: “Gli atenei pubblici si fanno concorrenza con spot pubblicitari pagati con fondi sottratti a borse di studio e ad alloggi per studenti”. L'articolo inizia così: “Liscia o gassata? Università di Macerata. Ricca di fosforo, povera di tedio. Dieci anni fa neppure i più fantasiosi avrebbero immaginato che per conquistare “clienti” un'università si sarebbe giulivamente paragonata ad una bottiglia d'acqua minerale”. L'articolo è illustrato anche con due manifesti dell'Università di Macerata. La didascalia dice: “Esempi di promozione di alcune università. Il più “frizzante” riguarda l'Università di Macerata”.
Se è vero (chi ce lo può dire, seriamente?) che le pubblicità universitarie (di alcune università?) vengono pagate con fondi sottratti a borse di studio e ad alloggi per studenti, c'è da urlare contro.
Manuela Cartosio riporta, nel suo articolo, un pensiero estratto da Contro la comunicazione, di Mario Perniola (Einaudi editore): “la comunicazione è l'opposto della conoscenza ed è nemica delle idee”. Detto così non mi sembra un pensiero serio. Bisognerebbe leggere almeno una pagina o un capitolo e magari tutto il libro. Accontentiamoci di questa battuta e chiosiamo alla buona. E' il pensiero dell'autore? Speriamo di no, perché sarebbe una contraddizione troppo ingenua. Come ingenua risulta, purtroppo, la mia considerazione: senza comunicazione chi leggerebbe il libro einaudiano (editrice di proprietà dell'uomo di Arcore, che con la pubblicità si è costruito un impero e scranni parlamentari e un partito e una squadra di calcio e leggi personali e non si finirebbe più di elencare quello che si trova tra uno spot e l'altro)?
Se pago la mia iscrizione ad una università 600 euro (poco o tanto che sia) divento, prima ancora di essere matricola, un cliente. Il denaro, strumento per avere “cose” (e anche idee, se queste sono stampate o registrare o filmate) ci rende tutti clienti di qualcuno.
Un libro costa minimo 20 euro. Un cd costa lo stesso. Una enormità. Ha ragione Beppe Grillo quando dice che quelli che ci governano i libri non li bruciano, ma ti fanno passare la voglia di leggerli. Forse non solo per il costo elevato, ma anche quello conta.
Le università, dunque, si fanno pubblicità. E fanno bene. E speriamo con un budget trasparente. |