PUBBLICITA' RI-VISTA la réclame stampata |
Settimanale
l'Espresso, 30 agosto 2001. Giri la copertina e subito una pubblicità.
Sisley. Niente testo. Solo il nome, oltre all'indicazione di
un esile Sisley.com, in un angolo. Sisley è moda, lo sappiamo
perché conserviamo un poco di memoria da consumatori (di immagini
pubblicitarie, se non di maglioni). Altrimenti, un Sisley e basta comunicherebbe
poco. L'immagine è ciò che conta. E che attira (dovrebbe)
l'attenzione del lettore. Alla nostra destra, il faccione di un maiale
ripulito per la posa. Accanto, una bella ragazza, in atteggiamento da
foto ricordo, di quelle con un braccio sulla spalla del vicino. Lana
di pecora e setola di maiale hanno qualcosa in comune? Chi può
dirlo. Subito, la foto ricordo sbiadisce: c'è atmosfera da calcolata
"maialeria". La ragazza ha lasciato la gonna o il pantalone
da qualche parte. Si possono tentare accostamenti d'identità:
porco lui, porca lei. Non è un giudizio personale. Tanto meno
moraleggiante. E' una considerazione suggerita dal tipo di pubblicità,
che cerca di scandalizzare, ma al maialone (o è una scrofa?)
non gli riesce di tirar fuori gli artigli da aquila (come metafora dell'impatto,
del gioco al rialzo). Se non sai cosa dire, utilizza un testimonial,
insegnano i maestri dell'advertising. Oppure, scandalizza. Qui, l'osé
ha osato poco. E che doveva fare, la bella ragazza castano scura, con
gli occhi arrossati dal flash, come nelle foto della gita scolastica?
Suvvia, non siamo sul set praghese di un film porno italiano. MDN |