PUBBLICITA' RIVISTA la réclame stampata


Vorrei guardare il manifesto elettorale di Forza Italia, per le prossime amministrative, solo da un punto di vista pubblicitario. Anche se sarà inevitabilmente il punto di vista di "un" pubblicitario. Significa che, pur mettendocela tutta, non si è mai "fuori da sé". Primo giudizio a freddo, veloce, che in pubblicità conta: è un brutto manifesto. Considerazione pratica: i manifesti elettorali meno sono belli più sono diretti, facili da capire. La bellezza, si sa, mescola l'estetica con l'etica, il sublime con l'ideale. Insomma, la bellezza gioca alto ma segna pochi gol. Il target elettorale è troppo ampio per essere incasellato in categorie specifiche. Sul berlusconismo hanno già scritto di tutto e di più (formula televisiva, qui non casuale), quindi tocca solo restringersi nell'area del visual e del copywriting. Limitativa, ma è quella che frequento ogni giorno, nel bene e nel male, nel freddo e nel caldo.

Il colore di fondo del manifesto, la base, è l'azzurro. Forza Italia è un incitamento sportivo, è ovvio che l'azzurro sia il colore della nazionale mamma di tutti gli sport peninsulari e isole comprese. Anche se uno pensa più al calcio che alla squadra di hockey. Il pallone è l'altra faccia dello spaghetto. Il colore primario, come segno connotativo è quello di una maglietta piuttosto che della bandiera repubblicana.

La foto del personaggio è a sinistra, con sguardo verso destra. Il movimento segue la direzione a noi più consona, che è quella della scrittura. I giapponesi vanno in verticale o in orizzontale, gli arabi da destra a sinistra. Nei manifesti elettorali il candidato il più delle volte non guarda mai negli occhi di chi legge, e questa, a mio parere, è pura maleducazione. Che fai, ti rivolgi a me, chiedi il mio voto, e guardi da un'altra parte? I manifesti mica arrossiscono.

Non so se questo sia il taglio originale, se il manifesto sia davvero inquadrato così, certo che (se l'originale è questo) la calvizie arcoriana, in altri tempi passata al mascara, ora viene messa "fuori campo". Per uno che ha fatto della scesa in campo la soluzione della sua vita privata, parrebbe una contraddizione. Ma questa è una pinzillacchera, come avrebbe detto il De Curtis del vota'ntonio, vota'ntonio.
Il sorriso del candidato è accennato con una lieve increspatura della bocca; l'homo ridens appare malinconicus. Sarà una strategia
?

Chi l'ha scritto il testo? Il direttore del Foglio (che sarebbe in definitiva l'inserto quotidiano del Giornale, ma venduto a parte, e questo non è giusto) o il suo padrone premier? "Vota contro questa sinistra". Suvvia, come si fa a non pensare che l'ormai classico "Meno tasse per Totti" è già parente del "Vota contro questa faccia sinistra"? Come si fa a non capire che il "questa" non porta da un'altra parte, ma fa restare lì, sul manifesto, la frase del messaggio?
La battuta "pericolosa per l'Italia, per la democrazia, per la libertà" non ha il punto alla fine e allora le due virgole non servono, anche perché la frase è impaginata su tre righe centrali e le pause di lettura sono obbligate.
La promessa pubblicitaria (ad esempio: meno tasse per tutti) questa volta non c'è. Non c'è programma politico, un progetto, un ideale da seguire. In pubblicità se non hai buone e nuove idee si usa il nudo oppure si parla male della concorrenza.
Nella parte bassa va stampato il nome del candidato sindaco. Da qui prende spunto tutta la letteratura del doppio, dello sdoppiamento della personalità.

Nel messaggio generale, quello dell'impatto, la tecnica pubblicitaria utilizzata è da manuale: nominare un prodotto mostrandone un altro. Una tecnica molto vicina ai "metaprodotti comunicativi". Tipo: far vedere un atleta sudatissimo che garganella una bevanda e parlare invece di un software, oppure reclamizzare una tv musicale mostrando un profilattico con su scritto "ore di piacere".
Metaprodotti comunicativi. E così il candidato sindaco forzaitaliota della vostra città si ritrova reclamizzato con la faccia di un altro.
Diciamo che è un metaprodotto per alleggerire la storia sociale. Pensatela come volete - ci mancherebbe altro - ma quando un personaggio vuol far indossare la sua maschera fondotinteggiata ai suoi vassalli, quando esiste solo e solo lui, unico capo padrone, che si appropria anche del nome del suo candidato a sindaco (e non viceversa), perché non chiamarlo "il duce" un personaggio di questo genere? Lo è. Il discorso vira in politica. Diamoci un taglio. Signore e signori: pubblicità.

mdn