QUALCUNO
HA UN MARTELLO A PORTATA DI MANO?
Allalba del 1 gennaio 1994 lEsercito Zapatista
di Liberazione Nazionale occupava le città di San Cristóbal
de las Casas, Ocosingo e Las Margaritas, nella regione del Chiapas, Messico
meridionale. La scelta del 1 gennaio 1994 non era casuale: da quel giorno
entrava in vigore il Nafta (North American Free Trade Agreement), il Trattato
di libero scambio tra Stati Uniti, Canada e Messico. Un Trattato che avrebbe
affamato ancora di più i contadini messicani, specialmente
del sud, che coltivavano (e coltivano) il mais con sistemi tradizionali
e per nulla competitivi con gli elevati ritmi di produzione e i bassi
costi della manodopera imposti dal mercato capitalistico.
Loccupazione delle tre città del Chiapas - preparata da due
anni - aveva lo scopo di mostrare al governo messicano (e al mondo) che
lEZLN era ben organizzato, in armi e con un buon numero di combattenti.
Lesercito federale, il 2 gennaio, respinse con il fuoco quelloccupazione.
Ci furono molti morti. I combattenti dellEZLN ritornarono, in modo
disordinato, sulle montagne della Selva Lacandona. Erano indios chiapaneci
di varie etnie, con il volto coperto da fazzoletti rossi e da passamontagna.
Tra loro, un messicano che tutto il mondo presto conoscerà come
il subcomandante Marcos (subcomandante insurgente Marcos).
"Il passamontagna è un passamontagna - dice Marcos
- e qualsiasi messicano può infilarsi un passamontagna ed essere
Marcos, essere quello che sono io: unirsi a un movimento che sia giusto
e legittimo e lottare per i propri diritti, non dico con unarma,
lo si può fare con un microfono, con una penna, con un foglio di
carta, con una macchina fotografica".
Il subcomandante Marcos è certo consapevole di essere diventato
una icona da poster. Gli è utile (è utile allEZLN,
al Chiapas, e anche ad una idea di libertà reclamata da altri popoli).
E, giustamente, non se ne sottrae. Tanto più si cela, sia dietro
un passamontagna sia nella Selva Lacandona, tanto più si rende
visibile (rende visibile la lotta dellEZLN). Marcos ha utilizzato
tutti i mass media possibili (stampa, televisione, radio e Internet) per
far conoscere al mondo la realtà del Chiapas.
"Né tu né nessun altro sapeva dellesistenza
di Ramona e che dietro ce nerano decina di migliaia come lei. Non
sapevi che loro, che vivono a qualche chilometro da San Cristóbal,
in uno stato che produce energia elettrica per Città del Messico,
che produce petrolio per lesportazione, non hanno né luce
né gas né petrolio, per illuminare usano le torce, e non
hanno neppure un accendino, un barattolo di petrolio e un pezzo di tela
per farci un lume. Neppure questo".
La foto del subcomandante Marcos (a cavallo) scattata da Frida Hartz inquadra
tutti gli elementi che, insieme o separatamente, costruiscono limmagine
Marcos: il passamontagna (solo i compagni indios conoscono il suo
viso), il berretto (da maoista?) con tre stellette militari, la pipa fumante,
il fazzoletto attorno al collo, la cuffia e il microfono indossati e collegati
ad una ricetrasmittente, le cartucciere del fucile e della pistola, la
divisa verde militare con le maniche tirate su con cura, un tascapane
(si vede la cinghia di traverso). Dietro le spalle, si intravede appena
la canna di un fucile. Altro elemento fabulatorio: il cavallo.
"Quando viene diramato lallarme (
) la prima cosa che
fa il combattente è decidere quali sono gli oggetti di prima necessità
da portarsi via e i principali se li mette addosso. Seguono quelli di
secondordine che vanno nello zaino. Il resto viene nascosto da qualche
parte".
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Cè qualcosa
di particolare in questa figura di guerrigliero, qualcosa
che sposta il codice di rappresentazione dal canone tradizionale. Sono
la cuffia e il microfono? Oppure è la pipa fumante? La pipa sottolinea
la calma e la sicurezza del personaggio e, come elemento borghese,
rimanda ad una radice culturale occidentale. Marcos è
laureato e ha frequentato un corso di specializzazione. Lui non puntualizza,
ma si dice (il si dice non si può evitare con i personaggi
già mito) che sia laureato in filosofia e che abbia
lavorato per qualche tempo come grafico. Ha scritto un libro di fiabe.
Gli occhi da bianco, dai quali la Cia e la polizia messicana
avrebbero voluto ricavarne una qualche identità, accrescono la
miticità del personaggio: colui che sposa la causa di un popolo
diverso, pur se le ragioni della lotta degli indios del Chiapas
sono le sue stesse ragioni in quanto diritto alla libertà
per tutti i popoli oppressi.
Marcos racconta che è per via del castigliano, lingua che gli indios
non parlano, che lui è stato costretto a gestire il rapporto con
i mezzi di comunicazione. Però, racconta, questo compito non lo
ha svolto benissimo, tantè che non lo hanno nominato comandante;
ecco perché ha il grado di subcomandante. Il comandante è
una donna. Spesso, leggendo le dichiarazione di Marcos, si ha limpressione
che voglia bonariamente prenderci in giro. Fa bene. Gli sono state fatte
migliaia di domande inutili. Del tipo: Perché alcuni usano il passamontagna
e a altri il fazzoletto? Risposta di Marcos: Perché quelli con
il passamontagna erano riusciti a procurarsi un passamontagna.
Marcos dice che qualsiasi messicano può infilarsi il passamontagna
ed essere Marcos. La grammatica dei segni-segnali (passamontagna
più berretto più pipa) non riesce a comporre una proposizione
corretta, completa. Bisogna aggiungere messicano. Ma la mitologia
è spietata nella creazione dei suoi personaggi. Gli indios del
Chiapas con i loro passamontagna restano persone nascoste da un passamontagna,
dis/velano poco, al contrario di Marcos che ha trasformato la non identità
in una identità, tantè che il suo volto è il
passamontagna. I suoi occhi da bianco, la sua pipa occidentale
la sua cultura latino-americana ed europea sono ottimi elementi
di trasmissione dal momento che il ricevente massmediatico è fuori
dai confini messicani. Anche Che Guevara aveva elementi migratori:
argentino, rivoluzionario cubano, assassinato in Bolivia.
"Se volete sapere che volto cè dietro il passamontagna,
è molto semplice: prendete uno specchio e guardatevi".
Marcos vuole essere noi. Il Chiapas non sta dallaltra parte del
mondo. E linternazionalità della lotta. Quando gli
indios del Chiapas per trasmettere i loro programmi utilizzarono Internet
molti si stupirono. Selva Lacandona e modem sembrarono inconciliabili
(non tecnologicamente).
Cè una affermazione di Marcos che riassume la consapevolezza
di un ruolo (spesso dato dagli altri):
"Noi non siamo fautori di una guerra a tutti i costi. Quando diciamo
che la guerra è una misura disperata è perché è
una misura disperata. Per questo la gente che fa la guerra è disperata,
e per questo siamo affascinanti, perché siamo disperati".
Da notare, subito, il significato diretto delle parole: la guerra è
una misura disperata perché è una misura disperata. Nessun
sinonimo. Noi, probabile, avremmo fatto un bellelenco di altri perché.
Ma è quellessere affascinanti che ci rende meschini,
ancora una volta consumatori di esotismi tragici (purché accadano
lontano da casa). Il fascino verso leroe disperato appaga il nostro
ruolo di spettatori morbosi e guardoni.
Nei mercatini del Chiapas gli indios vendono pupazzetti con il passamontagna.
Souvenir per noi, qualche pesos in più per loro. E già
logica di mercato, ma gli indios conoscono i nostri gusti. Linevitabilità
del tutto si trasforma in merce non preoccupa Marcos:
"La commercializzazione della mia immagine mi diverte, mi fa ridere.
Ai compagni certe cose danno fastidio, per me è indifferente, non
mi cambia di una virgola, non ci guadagno niente, non ho il copyright
della mia immagine".
Dietro al passamontagna dovremmo esserci noi. Dovremmo. Il guaio è
che questo passamontagna non lo indossiamo affatto.
Alla fin fine, un cappuccio di lana è servito (serve) a molto.
Le parole di Marcos sono eloquenti:
"Credo che il passamontagna produca un effetto ideologico efficace
e corrisponda alla nostra concezione di quella che deve essere una rivoluzione
non individualizzata o capeggiata da un caudillo, ma con la sufficiente
forza morale per propagarsi tra la gente e arrivare a formare molti eserciti
zapatisti, molti Marcos, molti comitati clandestini in ogni luogo e su
molti fronti non militari".
Le dichiarazioni
del subcomandante Marcos sono tratte da Io, Marcos (Feltrinelli)
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